La scelta di usare i colori nelle stanze dello studio è stata realizzata grazie alla professionalità dell’architetto Stefania Tropea e vuole essere in continuità con l’abitudine di usare dei quaderni colorati per appuntare le progressioni degli adolescenti e dei giovani adulti.
Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità,
ma planare sulle cose dall’alto. Non avere macigni sul cuore.
Italo Calvino, Lezioni Americane
” (…) da molti anni avevo l’abitudine di appuntare le progressioni dei miei pazienti su dei quaderni, ma solo da pochi mesi, se ravvisavo i margini per farlo, avevo iniziato a proporre ai nuovi pazienti più giovani di scegliere il colore del primo quaderno o del nuovo quaderno a chi era già in trattamento. A dirla tutta avevo iniziato a farlo proprio nel 2013 dopo aver preso la decisione di dimettermi dal posto di ruolo e di investire e scommettere sull’attività privata che, per il riferimento alle molte ragazze molto magre, giocosamente chiamavo le mie fanciulle e cui associavo un’immagine che negli anni mi è diventata molto cara: quella dei loro quaderni colorati. In quel periodo ero fascinata dagli studi di Hillman sui colori e mi aveva divertito osservare come alcune persone avevano sognato il loro quaderno o nel colore del loro quaderno… Mi era sembrata un’operazione facile e poco invasiva attraverso cui da una parte si alleggeriva l’atmosfera di lavoro con gli adolescenti nei primi colloqui e dall’altra consentivo loro di darmi delle prime informazioni su di loro: come sceglievano, cosa sceglievano, cosa lasciavano e se aggiungevano altro. Un modo di rompere il ghiaccio, laddove vi erano gli estremi psicopatologici per farlo ovviamente, ma anche un modo per tenere nella mia stanza una delle caratteristiche che, già lo prevedevo, più avrei rimpianto del lavoro in equipe: quella possibilità di alleggerire un lavoro faticoso mediante condivisioni che senza togliere serietà apportavano sfumature di colore e talvolta addirittura di allegria. Come se un quaderno colorato potesse aggiungere al faticoso processo di cura la terapeuticità della bellezza, presupposto che, poi mi sono accorta, riguardava le molte aree di interesse oltre il lavoro che mi hanno da sempre aiutata ad essere quella che sono e a rigenerarmi. Con enorme prudenza e misura, ovviamente, ma sono convinta che un analista che si mette in gioco facendo trapelare un minimo della propria personalità, e rinunciando un minimo alla neutralità, possa aiutare molto alcuni percorsi terapeutici.” Marta Scoppetta